Cari colleghi sindaci e amministratori, rappresentanti delle
associazioni locali,
Carissimi condovesi, vi ringrazio per la vostra presenza in questo luogo così
importante per la nostra comunità e così significativo per la storia della
Resistenza in Val di Susa. Ringrazio in particolare la nostra sezione locale
dell’Anpi, che organizza questa commemorazione con l’impegno, la dedizione e la
cura che il sacrifico di questi nostri compaesani merita. Una sezione Anpi che non
si limita alla sola organizzazione di manifestazioni come questa, ma in questi
ultimi anni ha saputo compiere un significativo salto di qualità proponendo
momenti di approfondimento storico e culturale di livello. Un attivismo che non
è passato sotto traccia, ma che è stato apprezzato tanto da fare diventare
l’Anpi di Condove un vero e proprio punto di riferimento per tutte le altre
sezioni della valle, stringendo importanti collaborazioni e sinergie. Di tutto
questo vostro lavoro Condove vi è grata.
Concedetemi anche un ringraziamento a Walter Borla, che nei
giorni scorsi ha collocato delle corde fisse lungo il percorso che porta alle
croci. Un’accortezza per rendere l’accesso a quei luoghi più sicuro e più
fruibile.
Non vi nascondo la mia emozione nel dover tenere questa
orazione ufficiale. Nella mia piccola storia personale Vaccherezza ha sempre
rappresentato un appuntamento irrinunciabile. La bellezza di questo luogo
toglie il fiato e quasi stride con la tragicità dei fatti che qui si sono
consumati. Una contraddizione particolare, piccola, che vive nelle pietre e
negli alberi che ci circondano, inserita nelle infinite contraddizioni che
attraversarono quegli anni. Anni di paure, di dolore e di sacrifici, ma anche
di speranze e di fiducia che furono necessari per la costruzione di un Paese nuovo,
diverso, finalmente libero.
La centralità della Resistenza nella nostra storia nazionale
e repubblicana, gli eventi ad essa connessi e il vastissimo coinvolgimento
popolare che ne fecero il più importante movimento di liberazione nazionale
d’Europa, sono fatti storici che devono essere sottolineati e ribaditi, evitando
di scivolare nella retorica ma senza lasciare spazio a interpretazioni e
revisionismi che, di tanto in tanto, fanno capolino del dibattito pubblico. La dittatura che ha piegato l’Italia per vent’anni nacque da
un movimento scomposto, che seppe intercettare la rabbia per i patimenti subiti
durante la Prima Guerra Mondiale, il malcontento verso una classe politica inefficiente
e corrotta, l’incapacità e l’inconcludenza delle opposizioni progressiste di
fare fronte comune, il diffondersi di un senso di insicurezza e di fragilità,
alimentato anche dalle notizie che arrivavano dagli altri paesi d’Europa. Un
movimento che accolse a braccia aperte contadini diseredati e ricchi
proprietari terrieri, operai sfruttati per poche lire e capitani d’industria,
uomini dalle grandi tensioni ideali e personaggi in cerca di tornaconti
personali. Un movimento che ha sfruttato tutto ciò a suo vantaggio, con
l’obiettivo unico e dichiarato del raggiungimento e mantenimento del potere, e
che ha goduto di un consenso ampio e diffuso, almeno fino all’ingresso in
guerra, rafforzato da un’informazione assoggetta e dalla diffusione di
violenze, attentati, spedizioni punitive e assassini.
Un Paese in cui ai pochi che seppero guardare con lucidità e
prospettiva il dramma che si stava consumando, non fu concesso di vedere i loro
figli diventare uomini. Su tutti, voglio ricordare la figura di Giacomo
Matteotti, a cui sono intitolate strade e piazze ma la cui storia personale, a
95 anni esatti dalla sua scomparsa, temo, sia nota ormai a pochi. Un uomo mite
ma caparbio, letteralmente consumato dalla sua passione per la giustizia e per
la verità al punto di sacrificare la serenità della sua famiglia e patire
l’isolamento dei suoi compagni di partito che lo consideravano troppo duro nei
confronti di quello che sarebbe diventato il regime fascista. Matteotti
trascorse i suoi ultimi anni da deputato a denunciare le violenze dei fascisti,
le ruberie, le truffe ai danni dello Stato, le irregolarità procedurali, diventando
la spina più pungente nel fianco del Duce e contemporaneamente il bersaglio più
importante per le squadracce fasciste. Il 6 aprile del 1924, al termine di una
campagna elettorale violenta e oppressiva, il PNF raccolse il 64% del voti. Il
30 maggio Matteotti denunciò questo clima antidemocratico con un discorso alla
Camera, al termine del quale apostrofò un suo compagno dipartito dicendogli: “Io, il mio discorso l'ho fatto. Ora voi
preparate il discorso funebre per me”. Il 10 giugno venne rapito e ucciso dai
collaboratori di Mussolini, che nei giorni successivi prima mentì di fronte al
Parlamento, poi si intestò la responsabilità politica dell’omicidio facendosi
forte dei suoi “pieni poteri” appena ricevuti dagli italiani.
I martiri di Vaccherezza ebbero il coraggio di ripercorrere i
passi di Matteotti. Stretti nella morsa della Storia, scelsero la guerra di
liberazione per riscattare l’Italia, sognando un giorno di per poter guardare
negli occhi i loro figli e potergli dire a testa alta “Eravamo tutti italiani,
ma non eravamo tutti uguali”. Consapevoli di rischiare la vita decisero di non accodarsi
alla schiera muta degli indifferenti, quelli che già nel 1917 Antonio Gramsci
apostrofava con queste parole: “mi dà
noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi
del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone
quotidianamente, di ciò he ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E
sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non
dover spartire con loro le mie lacrime”.
Consapevolezza, senso del dovere, impegno. A scuola, al
lavoro, in famiglia, nelle nostre attività personali, tutti noi abbiamo il
dovere di dimostrare quotidianamente l’importanza e il senso profondo di questi
valori. Senza guardare a cosa fa il nostro vicino ma cercando di far sì che il
nostro agire diventi esempio. Non è facile, costa fatica, spesso anche
incomprensioni e fraintendimenti. Vi porto l’esempio di chi amministra
che, ve lo posso garantire, si scervella
quotidianamente al pensiero di dover trovare il modo più efficace per far
comprendere ai cittadini le decisioni assunte a favore del bene pubblico, anche
quando queste appaiono lontane o addirittura incomprensibili. Chi ha la
responsabilità temporanea di far vivere nella quotidianità le leggi che
governano il nostro stare insieme, che prendono le mosse dai valori della nostra
Costituzione nata anche qui a Vaccherezza, sa di dover compiere uno sforzo che
spesso appare immane, specialmente in un’epoca in cui la sfiducia e la
rassegnazione la fanno da padroni.
Anche per questi motivi, negli ultimi anni, questo luogo ha
ospitato membri delle istituzioni locali ed europee, esponenti di associazioni
che si occupano di aiutare i migranti, attivisti del mondo dei diritti civili.
Abbiamo voluto far diventare Vaccherezza una piccola scuola di formazione
civica. Abbiamo voluto creare momenti di discussione, di confronto, di
comprensione per non lasciarci intorpidire dai titoli tutti uguali dei
giornali, dal pessimismo e dalla rassegnazione instillati ad hoc, da un egoismo
che spesso diventa cattiveria.
Sentimenti che mi lasciano perplesso perché non appartengono
alla nostra storia. Spesso mi domando, dov’è finito il Paese di Matteotti e di Gramsci
sì, ma anche di Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti, di Guglielmo Marconi e
di Rita Levi Montalcini, di Arturo Toscanini e di Lucio Dalla, di Aldo Moro e
Enrico Berlinguer, di Enzo Ferrari e di Enzo Bearzot, di Sandro Pertini, di
Renato Guttuso, di Federico Fellini, di Luigi Pirandello e di Elsa Morante?
Quel Paese che sa di essere grande se si apre alle sfide del mondo, se guarda davanti
a se con fiducia e con ottimismo e non con ottusità e astio. Che del futuro ha
nostalgia, non paura. L’Italia amata e rispettata, il cui mare ha visto nascere
l’idea di Unione Europea sulle spiagge di Ventotene. L’Italia dei ragazzi di
Vaccherezza, che di fronte alle difficoltà, anche quelle più dure, non si chiede
“e perché?”, ma sa tirarsi su le maniche e chiedersi “perché no?”.
Forse gli anni strani che stiamo vivendo ci stanno facendo
dimenticare un pochino chi siamo. Viviamo circondati da notizie le cui fonti
sono sempre più incerte e ci stiamo abituando al ribaltamento della realtà. Non
ci stupiamo più se il presidente degli Stati Uniti dice di voler comprare la
Groenlandia, o se il premier britannico si fa fotografare con un piede sul
tavolino dell’ufficio del presidente francese. A casa nostra, pochi giorni fa,
abbiamo addirittura scoperto di avere un primo ministro (e già questa mi sembra
una notizia…) che per 14 mesi non ha condiviso gran parte del lavoro che lui
stesso ha coordinato. Tutto questo viene fatto passare come vicinanza verso il
popolo, quando invece si tratta solo di atteggiamenti da spacconi che non fanno
altro che calpestare i valori e i principi delle nostre società democratiche.
Eppure, ogni giorno, vedo e tocco con mano un Paese diverso,
una maggioranza silenziosa che vive di laboriosità, di serietà e di sobrietà e
che rende l’Italia il grande Paese che è. Un’Italia che vive nella solidarietà
tra i colleghi di lavoro, nei milioni di volontari che ogni giorno costruiscono
un pezzo di welfare irrinunciabile, negli insegnanti o nei medici che svolgono
la loro missione in contesti spesso precari, in chi ha scelto l’Italia per
costruirsi un futuro migliore, negli scout che in queste settimane hanno
attraversato la valle con le loro attività, interrogandosi sul loro ruolo nel
mondo e su come potersi mettere a servizio, nei ragazzi di Fridays for future,
che incontreremo nei prossimi giorni in Comune per concordare delle attività da
svolgere insieme a tutela dell’ambiente e del nostro territorio.
Un’Italia che guarda al futuro anche attraverso i nostri
occhi, che oggi abbiamo deciso di essere qui non solo per rendere omaggio ai
ragazzi di Vaccherezza, ma soprattutto per dire loro “state tranquilli, il
vostro sacrificio non è stato vano. I vostri sogni camminano sulle nostre
gambe”.
W l’Italia!
W la Resistenza!